Nome: Kesla Romero
Professione di copertura: Cameriera
Arma preferita: Kalashnikov
Età: 19
Altezza: 1,72 cm
Peso: 57 kg
Biografia:
Rinnegata dallo stesso grembo di sua madre e non avendo mai visto il volto di suo padre, Kesla Romero aveva conosciuto sin da subito l'ambiente crudo di Cuba e, precoce, era stato anche il suo rito di iniziazzione a tutti quegli scenari della malavita organizzata, che non sono proprio educativi per una bambina di 7 anni.
A quell'età fu affidata alla proprietaria del "Melià Cohiba", una donna dal fascino bigotto che si avviava verso i suoi 45 anni, il suo nome era Engracia, nonchè la proprietaria dell'illustre locale che padroneggiava tutta L'Avana,
all'interno del Melià era possibile degustare qualsiasi bottiglia di rum e pregiatissimi liquori derivati dalla lavorazione della canna da zucchero.
Ma non era soltanto il luogo dove ognuno veniva a sedersi per apprezzare i sapori della terra cubana, il Melià Cohiba era diventato una vera e propria sede di riunioni a sfondo mafioso,
si discuteva dei traffici illegali e dei pezzi grossi da fare fuori, insomma, niente di più deleterio per una bambina senza guida nè famiglia.
Kesla Romero cresce dunque tra mentalità malsane e azioni prive di scrupolo, sviluppando anch'essa una mente che oggi potremmo definire "impavida e perversa",
tant'è che all'età di 18 anni ha già fatto i conti con il pericolo, il furto, e come ogni cubana che si rispetti, sa perfettmente anche come far impazzire e cedere un uomo, debole dinanzi alla generosità delle sue origini latine.
Stanca però della medesima realtà, alla quale era ormai abituata, la giovane Kesla sentiva l'esigenza di respirare aria nuova, e soprattutto di farsi inebriare dal profumo di altri soldi e questa volta, ancora più sporchi.
Erano 4 mesi che questa idea le folleggiava per la testa.
La svolta decisiva però, ci fu quando la Famiglia Sivilla, la quale controllava l'intero territorio Venezuelano,
strinse accordi con i clan statunitensi per l'esportazione di droga e armi.
Di lì a pochi giorni sarebbe partito dall'Avana un copioso carico diretto a Chicago. Quale occasione migliore?
Testimone oculare e abile ascoltatrice, Kesla Romero non si fece scivolare l'occasione dalle mani e non fu difficile per lei procurarsi un borsone piedo di soldi, e dei documenti falsi.
Si imbarcò due giorni dopo, nascondendo la sua reale identità e in men che non si dica, era a Chicago.
Aveva sentito parlare molto di Chicago nel Melià Cohiba, spesso i capi della Famiglia Sivilla ne decantavano l'alta cucina raffinata, i costanti grattacelli che affiancavano le rive del famoso Michigan, la cultura del blues.. insomma la "Windy city", con la sua atmosfera multiculturale e multietnica rendeva molto più vitale l'eccitazione della giovane Kesla.
Passeggiando tra le strade di quella metropoli pericolosa, la ragazza decise di permettersi un alloggio lussuoso e con i dovuti confort, chiese infatti informazioni ai passanti svariate volte e il più quotato le parve il "Bridal Hotel".
Folgorata dalla bellezza della suite nella quale aveva appena fatto accesso, ne scrutò i dettagli: Il concetto interno della suite fusionava dettagli contemporanei con tradizioni classiche e la sua estrema gamma monocromatica era combinata con i ricchi tessuti e materiali naturali di lusso. Restò molto tempo a godersi quel momento di apparente ricchezza, poi cadde in un sonno voluto e desiderato, memore del viaggio che aveva fatto ore a dietro.
Quella sera diluviava a Chicago e la giovane venezuelana si svegliò di soprassalto per il rumore della pioggia che oscurava le mastodontiche vetrate, le quali offrivano una rigorosa vista sullo skyline della città. Le venne voglia di farsi un bagno caldo ma già sapeva che sarebbe durato non molto tempo, aveva intenzione di uscire e avventurarsi, come era solita fare.
Optò per il total black quella sera, sensuale ma sobria allo stesso tempo; si guardò allo specchio, non l'aveva ancora fatto da quando aveva messo piede in aeroporto, e vide una ragazza decisa, intraprendente e sola. Si gettò i lunghi capelli all'indietro e li lasciò cadere lungo la schiena. Tutto a posto, era pronta.
Faceva molto freddo e il vento era gelido e fastidioso, uscita dalla hall senza voltarsi, aprì l’ombrello che le era stato fornito da un maggiordomo dell'albergo, e cominciò a incamminarsi.
Udiva il musicale ticchettio delle gocce di pioggia che s’infrangevano sull’ombrello, come spiriti che tentavano invano di colpirla. Sin da piccola amava quel suono, quella sensazione di protezione che dalla madre non aveva mai ricevuto.
Tra bulli, be-pop, pupe, fiumi d'alcol e il buio della sera, l'intrepida Kesla entrò in un bar, il Tom's Bar, e non poteva immaginare neppure lontanamente che quell'entrata in quel preciso istante, in quel determinato luogo, le avrebbe cambiato la vita in modo radicale.
Sapete quando un brivido vi percorre beffardamente la schiena, le vene iniziano a congelarsi e vi manca il fiato? Consapevoli del fatto che le cose non stanno realmente come credete, quell' insidioso sesto senso che vi fa scattare una scintilla nel cervello, per cui comprendete a malincuore che qualcosa non va troppo tranquillo, quel silenzio insopportabile, questo il pensiero che vi balena nella testa, qualcosa sotto, nessuno vi ha informati, non è affar vostro, ma ci siete dentro, gente che parla, gente che mangia e beve, serata galante, abiti pomposi, degni di una gran festa, punch e liquori, ma non vi sentite sicuri, c'è qualcosa sotto e il fatto che ne siete totalmente all'oscuro vi terrorizza, troppi bisbigli, troppi sguardi circospetti, troppi movimenti prudenti e premeditati.
Fu questa la sensazione di Kesla in quei pochi istanti che le sembrarono un eternit prima del caos. La sua attenzione venne catturata poi dalle note di un pianoforte a coda accuratamente lucidato per l'occasione in un angolo della sala, era un ottimo Bechstein in noce. Immersa in quel jazz, le note le risuonavano nella testa come echi sommessi di un universo lontano che andavano e venivano, controllate dalle mani di quell'uomo che suonava aulicamente, che scivolano sui tasti e procedevano da sole descrivendo movimenti a tratti veloci, scattanti o morbidi, teneramente delicati.
Strette di mano, pacche sulla schiena, sguardi fieri e compiaciuti, erano scene familiari per la piccola Kesla.
In un secondo momento la sua attenzione venne catturata all'improvviso da qualcosa, notò un particolare, che era proprio quello che avrebbe desiderato, una 442 Revolver stava nel fodero fissato alla cintura di uno degli invitati, ben presto si rese conto che non era l'unico a possedere un'arma, ma ogni uomo in quella sala ne aveva una, come se fossero tutti pronti ad un assalto improvviso. Sussultò, quando facendo il quadro generale della sala, lo sguardo di Kesla si posò su una sagoma al di là della porta di vetro che le stava di fronte. La sagoma si faceva sempre più nitida man mano che si avvinava alla porta, e senza nessuna esitazione gettò a terra con un colpo di pistola; il vetro si sgretolò sotto gli occhi di Kesla, che invece restava con le pupille dritte negli occhi del malfattore. Quell'uomo era lì per uccidere, il messaggio era chiaro. Ma chi? e perchè?
L'attenzione dei presenti si concentrò immediatamente su quell'individuo che, non appena varcata la soglia, calpestò incurante i resti del vetro che aveva fatto crollare pochi secondi prima e con passo deciso si diresse in fondo alla sala, giunto a destinazione puntò un uomo. Era Paul Ricca, pezzo grosso della Famiglia Nitti, quest ultimo sorseggiava Rosè insieme ad altri signori quando venne interrotto da quell'ambiguo personaggio, il quale aveva appena fatto la sua entrata trionfante. Paul Ricca aveva l'aria di essere un uomo affascinante, curato e dai modi gentili, non aveva paura in quell'istante, glie lo si leggeva in faccia e a Kesla piaceva, eccome se le piaceva.
Le mosse di Kesla, di fatto, furono irrazionali e prive di senno, dettate da un'unica costante, l'adrenalina. Il sangue le sconquassava nei capillari più veloce del solito e il cuore le stava esplodendo dal torace quasi facendole provare dolore, pertanto sfilò quella pistola che aveva adocchiato pochi minuti prima dal fodero fissato alla cintura di uno degli invitati e corse, con tutto il fiato che le rimaneva in gola, raggiunse quello strano individuo e riuscì a pronunciare una sola parola, smorzata dalla tensione, prima di sferrargli un unico colpo alla nuca che si riveló per quell'uomo, letale: "Stronzo".
L'uomo cadde a terra inerme e si consumò nella sua pozza di sangue, fu solo allora che Paul si accorse della giovane venezuelana e di quello che aveva appena fatto.
Suscitando l'immenso stupore di Kesla, ma non degli altri presenti, le note provenienti dal pianoforte ricominciarono a risuonare all'interno della sala, come se quell'interruzione fosse stata lieve quanto insignificante, e le coppie di occhi che prima erano impegnate a fissare Kesla , ora erano già concentrate su altro.
Effettivamente era così, non era successo nulla di irreparabile e di sensazionale, a Chicago gli omicidi erano all'ordine del giorno e la Famiglia Nitti ne aveva fatto grondare di sangue dai corpi, ma Kesla non aveva mai ucciso un uomo e quella era stata la sua prima volta, un'ennesima prima volta.
In quel preciso istante la carriera di Kesla con i Nitti ebbe inizio.
